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“La Nave del Olvido” un film da dimenticare #Immaginaria vista da Alessandro Paesano

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di Alessandro Paesano,

La Nave del Olvido (t.l. La nave dell’oblio) (Cile, 2020) di Nicol Ruiz Benavides, alla sua opera prima, della quale firma anche la sceneggiatura, vorrebbe raccontare del risveglio erotico affettivo della settantenne Claudina che, diventata vedova, va a vivere con la figlia e si innamora di Elsa, la fascinosa vicina 5 anni più giovane di lei.


Un film velleitario…
 

Vorrebbe perché questo desiderio narrativo viene ostacolato dall’idea di cinema e di racconto che la giovane regista-sceneggiatrice ha.
Un cinema che preferisce l’inquadratura in piano sequenza, convinto che il tempo reale si faccia docu-fiction (interessante solo quello che apre la pellicola, che si concentra sulla primo piano di Claudina, alla notizia della morte del marito, il lampeggiante della macchina della polizia che le illumina il volto proprio mentre viene deturpato dalla disperazione l’inquadratura va fuori fuoco).


…dal respiro di un cortometraggio. 

Un cinema fatto di lunghe inquadrature dove non accade nulla, girate per il puro gusto della bella immagine o per allungare una storia cui sarebbero stati più congeniali i tempi contenuti del cortometraggio (e infatti non riesce a superare i 71, interminabili, minuti di durata). 

Un cinema completamente privo di attenzione per la psicologia dei personaggi (del tutto ingiustificabile il silenzio di Claudina dopo le disgustose accuse-rimproveri della figlia come fosse lei la madre e la madre una adolescente da correggere, uno schiaffo da farle sanguinare il naso sarebbe sarebbe stata l’unica reazione plausibile).

Un film classista

Un cinema, infine, che tradisce un certo odio per il Cile, descritto come Paese retrogrado e credulone (così almeno a sentire i continui servizi del tg sugli Ufo avvistati nei paraggi…) e un insopportabile classismo come quello di Elsa donna acculturata che dà lezioni di vita alla popolana Claudina ma che, appena  torna suo marito, taglia fuori dalla sua vita senza dare alcuna spiegazione.  La tanto millantata libertà di spirito dipendeva esclusivamente dall’assenza del marito e non nasceva da moto proprio…

Un cinema che non crede di dover spiegare il perché di certi comportamenti perché evidentemente certe scelte non vanno spiegate ma sono date per scontate (di nuovo Elsa e il marito).


Un film dall’immaginario collettivo vetusto

Anche i personaggi omosessuali che le due donne incontrano – quando escono che fanno? Si recano in un bar lgbt…  Ma non eravamo in un paesino retrogrado? – sono pavidi, anziani e soli oppure giovani e soli, nessuna coppia, nemmeno di amici, in una visione delle omosessualità che è quella degli anni ottanta dove si fa baldoria nei locali e poi si torna dentro gli armadi delle proprie vite in clandestinità.

Ma è il finale che risulta davvero indigesto, quando Claudina, abbandona il paese da sola, andando in direzione opposta a tutti gli abitanti che sono per strada, durante una festa cattolica, o, chissà, l’avvistamento di qualche Ufo, con il solito sorriso che ha sul viso, abbandonando tutti personaggi conosciuti (Elsa, a braccetto col marito, una giovane ragazza lesbica rigorosamente sola) dirigendosi verso un futuro indeterminato e solitario.


Un finale insopportabile

Un finale davvero insopportabile che farebbe tanto contento il santo padre: Claudina è sola, senza amore, senza amiche, senza niente. La nave del olvido è un film ancora fermo a un immaginario collettivo nel quale i personaggi omosessuali sopravvivono alla loro condizione con solitaria e clandestina dignità.

Un’immaginario che non corrisponde più a realtà se non nella mente vetusta di qualche giovane regista che non conosce la vita e non sa nemmeno raccontarla.

 

(20 giugno 2021)

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