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La finta Hollywood sul Tevere celebra il suo provincialismo

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di Vittorio Lussana

Anche quest’anno si celebra la Festa del cinema di Roma: una roba un po’ malinconica, dato che quella che era l’unica vera industria capitolina riconosciuta, oggi è solamente una piazza artistica incapace di produrre alcunché. Apre le danze, nel corso della prima serata, l’opera prima di Paola Cortellesi, in concorso nella sessione “Progressive”: un nuovo genere cinematografico d’incoraggiamento, quasi come per dire, a una che lavora come una matta e sta su piazza sin dagli anni ‘90 del secolo scorso: “Prometti bene, continua così”.

Interessante, in un ambiente convinto che il tempo non esista e che non alza minimamente il culo per andare a scoprire nuovi talenti emergenti – tipo Svevo Moltrasio, che tra l’altro è originario del quartiere Prati e non di una qualche periferia desolata ormai dedita unicamente allo spaccio – il fatto che sia già stato stabilito (non si sa bene come, quando e da chi) il Premio alla carriera, che quest’anno verrà assegnato a Shigeru Umebayashi, l’eccellente compositore di colonne sonore e autore di musiche che spesso hanno tenuto in piedi delle pellicole che non erano esattamente dei capolavori. Come nel caso di Hannibal Lecter: le origini del male di Peter Webber: un prequel de Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme di cui non sentivamo affatto il bisogno, poiché ha dimostrato solamente quanto poco ci voglia a cannibalizzare un capolavoro tramite la ricostruzione delle discutibili vicende giovanili di un personaggio che, nel thrilling originario, aveva un ruolo importante ma, tutto sommato, marginale.

In pratica, l’esplosione dei serial killer è avvenuta, qui da noi, per merito di Anthony Hopkins, che ci ha fatto scoprire la genialità del male rispetto ai danni, ben più gravi, che derivano dalla stupidità. Per la serie: “Buongiorno Italia, ben svegliata”. Poco contava che un certo Alfred Hitchcock avesse già da tempo partorito autentici capolavori come Psyco: noi si restava fermi al mostro di Firenze, ai cinepanettoni e alle bona del momento, forse pensando che l’andare a scavare tra i meandri della mente umana fosse solo un’amerikanata per far soldi e sconvolgere tutti quanti.

Va da sé, che anche il contesto hollywoodiano faccia ormai acqua da tutte le parti. E che il Maestro nipponico meritasse pienamente il riconoscimento che Roma ha voluto attribuirgli – anche se, lo ribadiamo. con grave ritardo – per l’ottimo lavoro autoriale da lui sempre garantito. Soprattutto nei film asiatici, recentissima scoperta della critica italiana, la quale ha la caratteristica di giungere all’illuminazione sempre con l’ultimo treno. Il ritardatario, insomma, non è Umebayashy, da noi conosciuto sin dal 1985, quando era il leader degli Ex, bensì la nostra critica cinematografica, ormai composta da emeriti ritardati.

Godiamoci, dunque, questo fine settimana da finta Hollywood sul Tevere, che ci farà dimenticare quanto Roma, allo stato attuale, sia divenuta solamente uno sfondo, un semplice set cinematografico, dopo esser stata, anche in questo campo, una vera imperatrice. Sono cose che succedono, in un contesto che, a parte Garrone e Sorrentino, non è mosso da alcuna etica del lavoro e non riconosce mai niente a nessuno.

Per puro provincialismo subculturale.

 

 

(18 ottobre 2023)

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