di Stefania Catallo, #afghanistan
I corridoi umanitari sono delle zone di transito smilitarizzate, attraverso le quali è possibile far arrivare aiuti umanitari o far circolare in uscita i rifugiati dalle aree di crisi, assicurando un passaggio sicuro verso altre regioni. Questo strumento è molto dibattuto in questi giorni, soprattutto in prospettiva dell’uscita definitiva degli Stati Uniti e dei suoi alleati dall’Afghanistan, il prossimo 31 agosto.
Sull’effettiva utilità dei corridoi umanitari esistono opinioni contrastanti anche all’interno della comunità afgana. “E’ una situazione molto complessa”, dichiara Layla, cooperante afghana che lavora nelle ONG in Italia da diversi anni. “Gli afghani in situazione di bisogno sono tanti, e attendono da decenni l’apertura dei corridoi umanitari, vivendo nei Paesi confinanti come il Pakistan l’Iran, la Turchia, la Grecia o la Bosnia. Sono anni che c’è bisogno di evacuare queste persone, che vivono in condizioni terribili. Perché allora ancora non si fa niente di concreto per loro?”.
Corridoi umanitari intesi come extrema ratio o come un tentativo di scaricare la responsabilità da parte dei Governi esteri? O addirittura un’occasione da parte delle ONG di arricchire le casse? Hassan, membro della comunità afghana di Roma risponde così: “Sicuramente ci saranno persone che non saranno d’accordo con me, però non ritengo che i corridoi umanitari siano la scelta giusta per aiutare il mio popolo che sta soffrendo. Tanti afhgani dicono: le nostre famiglie sono a rischio perché hanno lavorato col vecchio governo quindi devono uscire dal Paese. Solo a Roma la nostra comunità è di 10 mila persone, e ognuno di noi ha parenti che rischiano la vita per scappare insieme con la famiglia. Io stesso ricevo ogni giorno tanti messaggi dalle donne, da membri della società civile, da professori universitari, da artisti, da qualsiasi tipo di persona che ora rischia e che vive in una condizione incerta e vuole soltanto uscire dall’Afghanistan, ma non si può far evacuare un popolo intero. Secondo me, lo strumento giusto non è il corridoio umanitario: nessun Governo occidentale rischierà mai di far uscire 300 mila persone dall’Afghanistan a costo di subire attentati o altre forme di ritorsione”.
Cosa fare, allora? “Una parte della comunità si sta battendo per i corridoi umanitari ma è una battaglia persa” dichiara Ahmed “Tutti sanno che è solo una perdita di tempo, perché non è né uno strumento politico né umanitario, e non è funzionale. Io ho lavorato con le ONG che organizzano i corridoi verso l’Italia dalla Grecia e da altri Stati dove ci sono i rifugiati. Il numero di quelli che riuscivamo a far partire era molto basso, forse il 2 o il 3% del totale. In Libano ci sono più di un milione di rifugiati siriani e quanti sono riusciti a partire? Forse non più di 10 mila persone. Secondo me è necessaria invece la pressione politica internazionale, le sanzioni contro i Talebani per chiedere e ottenere di eleggere un Governo vero, inclusivo, che rispetti i diritti delle donne. Ci vuole una volontà globale per finire questa guerra, non corridoi umanitari”.
(25 agosto 2021)
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