di Alessandro Paesano, #LGBTIQ+
E dopo l’incidente tecnico che non ha permesso la proiezione di Soeurs d’arme/Red Snakes (Francia, 2019) di Caroline Fourest, è stata la volta della prima selezione di cortometraggi, a mostraci uno spaccato del cinema a tematica lesbica, vivo, florido, intelligente e ottimista.
Happy Valentine
Happy Valentine (Usa, 2017) di Judy Febles, ci mostra la reazione accogliente della madre quando scopre che la piccola figlia sta facendo una valentina per una compagna di classe (ma allora perché non pensare subito anche a quella possibilità invece di chiederle chi è il bambino fortunato?), commentando deve essere proprio speciale se ti piace mostrando un’etica ancora a metà del guado (io, tua madre, accuso ancor il colpo ma sono subito pronta ad accoglierti), comunque anni luce in avanti rispetto certi Paesi, come il nostro per esempio.
I Know Her
I Know Her (Usa, 2019) di Fawzia Mirza, ci mostra il dopo della prima volta tra due donne coloured statunitensi che scoprono di avere le sesse conoscenze politiche e non solo (una delle due è la figlia della prima fidanzata dell’altra…) con un divertimento autoironico intelligente quando irriverente.
Something Else
Something Else (Canada, 2019) di Élodie Roy, uno dei due corti di animazione della séance, ci racconta, male, della reazione di questa giovane ragazza asessuale (ma questo lo apprendiamo dalla sinossi, non vedendo il corto di animazione) infastidita e quasi obnubilata dal sesso che tutte le persone sembrano fare intorno a lei, finché non torna nella sicurezza della sua casa, dove si abbandona a un’altra ragazza con la quale si lascia andare in un abbraccio.
L’animazione fallisce nel sottolineare il senso di disagio di una persona asessuale (si definiscono così le persone che, pur intessendo relazioni amorose, non sentono l’esigenza di praticare alcuna forma di sesso) in una società di persone allosessuali (così le persone asessuali chiamano le persone che praticano sesso) e sembra descrivere più il sentire di una persona sessuofoba, visto che il sesso praticato dalle persone allosessuali presente nel corto fanno sesso dappertutto, nel cinema, per la strada, come nel mondo reale non accade mai.
Un corto ambiguo nei suoi assunti etico politici nel valore che dà alla sessualità che poco ha a che vedere con le persone asessuali, che non hanno affatto fastidio o paura o disgusto della sessualità altrui, come sembra da questo corto, quanto piuttosto indifferenza.
Un’occasione mancata.
Zanmi
Zanmi (Martinica, 2019) di Nadia Charlery racconta di un coming out delicatissimo, rovinato dalla reazione esagerata del fratello della ragazza appena dichiaratasi fin troppo sopra le righe.
Se persone così aggressive nella loro omofobia esistono purtroppo abbondantemente nel mondo reale, convince poco il silenzio imbarazzato col quale il resto del gruppo di amici e amiche (tra i quali una coppia di ragazzi gay) reagisce all’arroganza patriarcale di questo maschio omofobo che sarebbe stato facile sopraffare, anche fisicamente, dal resto del gruppo, che avrebbe potuto metterlo al suo posto, metaforicamente e non solo.
L’esotismo con cui si giustifica l’atteggiamento succube del gruppo alle escandescenze dell’omofobo, il corto è ambientato in Martinica tradisce un sottile razzismo visto che la Martinica ha una legislazione pro lgbt molto più solida di quella italiana (matrimonio egualitario e legge antidiscriminazioni incluse…).
Perché, insomma, si può reagire al maschio che urla contro una donna lesbica, magari rompendogli in testa una bottiglia di vino.
Suggerimento personale…
Carving Landscapes
Carving Landscapes (Canada, 2018) di Agathe Bernard è un omaggio all’esploratrice Mary Vaux che nel 1910 affronta, in abito vittoriano e piccozza, l’enorme ghiacciaio canadese Illecillewaet.
L’idea per il corto nasce da una foto di Vaux immortalata con la gonna (ma in tante altre foto compare in pantaloni) immagine che colpisce la fantasia della regista tanto da scegliere la strada della fiction con tanto di attrice che interpreta Vaux, invece di quella del documentario. Ne risulta un film personale ed emozionante che però poco ci dice su Vaux e la società dell’epoca.
La Santa
Del tutto inutile La Santa (Spagna, 2019) di Vega Halen, il cui racconto è sviluppato radiofonicamente dai dialoghi, mentre le immagini sono puramente esornative. Luz ed Eva sono madre e figlia. La prima fa la parrucchiera, la seconda è appena rientrata in Spagna, dopo un soggiorno a Londra per un Erasmus, e adesso aiuta la madre in negozio anche se non vorrebbe. Nel magazzino del negozio scopre il costume della più grande supereroe di tutto il mondo La Santa. Sorgono le domande. La santa è stata nel negozio? Sua madre la conosce?
Il finale sembra la chiusa di una barzelletta.
Inesistente dal punto di vista cinematografico.
La Amante
La Amante (Puertorico, 2018) di Pati Cruz racconta di Amritere, una donna appena divenuta vedova, che riceve la visita inattesa di Angela, il giorno del funerale del marito. Dalla reazione di Maritere e di suo figlio Fernando pensiamo la donna sia una delle tanti amanti del defunto, notorio sciupafemmine.
Ben presto capiamo che Angela è stata l’amante di Maritere che per sottrarsi ad Angela si nasconde in bagno. Ci pensa Fernando a cacciare la donna di casa e quando il figlio informa la madre questa rincorre Angela per strada, sale in macchina con lei, la bacia davanti alle persone invitate che l’hanno seguita per capire cosa stesse succedendo.
Il corto racconta con i toni leggeri ma non superficiali della commedia, le convenzioni sociali e le rinascite.
Anche a 70 anni cui ci può dedicare a coltivare amori trascurati qualunque ne sia stato il motivo.
Un corto riuscitissimo, un primo controesempio per lo scialbo e irrisolto La nave del Olvido Nicol Ruiz Benavides, proiettato al Festival e del quale parliamo in un altro articolo.
Time and Again (UK, 2019) di Rachel Dax
Cosa succede se il destino vuole che due donne che si sono amate da adolescenti si ritrovino nei giorni della vecchiaia nella stessa clinica di lusso per persone anziane? Succede che il pubblico assiste ai danni della morale borghese della loro gioventù (una delle due si sposò mentre l’altra si rifece una vita con un’altra donna) e al sostegno di quella contemporanea. Tra accuse, dolori al cuore fisici e non, le due donne prima si rinfacciano tutto il male che si son fatte l’un l’altra (compresa la gelosia di quella che abbandonò l’altra sposandosi con uomo, che riprova all’altra di essersi rifatta una vita) e poi l’amore fisico esplode improvviso, liberatorio, bellissimo fino al risveglio il giorno dopo quando si chiedono cosa potrebbe succedere loro se le sorprendessero nello stesso letto e una delle due risponde all’altra nulla siamo nel 2018.Un cortometraggio di rara felicità di scrittura, di regia e anche di recitazione merito di Dame Siân Phillips in stato di grazia e di Brigit Forsyth degna compagna di scena.
Secondo controesempio per La nave del Olvido Nicol Ruiz Benavides.
Carne
Carne (Brasile, 2019) di Camilla Kater è uno dei cortometraggi più stimolanti, ricchi e interessanti che abbiamo mai avuto la fortuna di vedere.
L’autrice ha intervistato 5 donne che parlano tutte del rapporto che hanno col proprio corpo. Sull’audio di queste interviste la regista costruisce 5 sezioni diverse, ognuna con un proprio titolo, tratto dalle fasi della cottura della carne, da al sangue a ben cotta, sostenute da un impianto visivo fatto di diversi stili di animazione a sottolineare in maniera congrua e creativa i discorsi fatti.
Crua
Così in Crua, Al sangue, mentre ascoltiamo il racconto di infanzia di una donna (che, ricordate, non vediamo) quando da bambina grassa non riusciva a correre veloce ma a correre più a lungo di altri compagni e compagne di scuola, l’impianto visivo anima un piatto, a passo uno, sul quale prendono forma disegni, animazioni, crepe, in linea col racconto che la donna conclude dicendo di essersi resa conto che le persone vedono lo status di persone grassa come qualcosa di transitorio per cui non si é grassi o grasse lo si è momentaneamente.
Mal pasada
In mal pasada (poco cotta) un’altra donna ricorda le prime mestruazioni che le fecero guadagnare lo status di donna e lei che aveva 12 anni ed era ancora piccolina si chiese perché doveva diventare donna sperando di poter rimanere ancora bambina. Mentre visivamente dei fogli da acquerello sono riempiti di diverse tinte e intensità di colore rosso e un gocciolio d’acqua si trasforma pian piano nel rumore di una pioggia torrentizia la donna racconta di come, qualche anno dopo, scoprì le statue preistoriche femminili riprodotte dagli uomini, che consideravano le donne animali che sanguinano ma non muoiono e quindi sono in contatto col soprannaturale e da quel momento le mestruazioni sono per lei il simbolo di questa appartenenza muliebre al supernaturale.
Ao ponto
In Ao Ponto (Cottura media) un’altra donna che dice avere dei grossi glutei e delle grosse gambe e di essere nera viene subito vista come donna sensuale, il cui colore di pelle è il colore del peccato e mentre la donna si ricollega all’ipersessualizzazione delle donne nere i disegni mostrano una bistecca alla griglia che viene cotta sfrigolando…
A questo tipo di donne non viene mai dato spazio nelle telenovelas vengono presentate come dettaglio esotico durante il samba e il carnevale per poi scomparire perché come qualcuno le disse una volta la tua immagine può spaventare la classe media brasiliana.
La donna che racconta dice di essere una cantante, nera e trans, e di subire una maggiore pressione sociale di normalizzazione. Come una volta, che durante un samba, un uomo la guardava continuamente invece di pararle per corteggiarla tirò fuori una pistola.
Pasada
In Pasada (cotta) una donna confronta le conoscenze medie che si hanno sulla menopausa che sono nulle rispetto a quelle che si hanno sulla sindrome premestruale e inizia a imbastire un elogio della menopausa chiamandola seconda primavera mentre una animazione con plastilina a passo uno commenta i suoi discorsi con delle immagini che in contrappunto o in linea con del che dice, corroborando il suo pensiero.
Bem Pasada
In Bem pasada (ben cotta) l’ultima donna intervistata ragiona sui limiti di avere un corpo femminile nella nostra società di come, da donna, si cresce in uno stato di abuso che finisce quando si invecchia, quando si entra in menopausa e il patriarcato smette di considerarti donna (e in questa sequenza le immagini di animazione sono intersecate da qualche fotogramma fotografico).
Una donna che nel patriarcato è carne e poco si concilia con la nozione di corpo e solamente quando diventi vecchia e non sei più carne puoi finalmente vivere il tuo corpo in maniera libera.
Carne è una delle punte più alte di questo sedicesimo Festival di Immaginaria che abbiamo avuto la fortuna e l’onore di vedere.
Adeline (Francia 2018) di Audrey Biche
Un altro film sulla memoria, sul passato, sulla vecchiaia.
Adeline, malata di cancro, è appena arrivata in questo centro per malattie terminali, dove riceve una lettera che le fa riaffiorare ricordi mai sopiti, un amore di gioventù, per una ragazza, osteggiato dalla violenza sadica di una suora, direttrice del collegio dove studiavano entrambe.
E mentre Adeline chiede all’infermiera che deve assisterla fino alla fine di rileggerle la lettera l’autrice della lettera viene a trovarla, avvertita dall’infermiera…
Un film di rara poesia che non esagera sui flashback con la suora sadica (i momenti più deboli, perché ovvi, del corto) che trova nelle notazione a margine (le reazioni emotive dell’infermeria, quelle tutte interiori di Adeline) i suoi momenti migliori.
Tra riflessione sull’amore al femminile e quello in tarda età, un terzo controesempio per La nave del Olvido Nicol Ruiz Benavides.
(21 giugno 2021)
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