di Alessandro Paesano #RomaFF12 twitter@Ale_Paesano
F come Festa del Cinema di Roma. E’ il terzo anno che la festa ha ripreso il suo nome originario, voluto nel 2006 da Veltroni, dopo un periodo di mezzo nel quale si chiamò Festival, scontentando chi malvedeva un altro festival del cinema in Italia.
La Festa porta la gente (e le scolaresche) in sala a vedere film che hanno abbondantemente già una distribuzione italiana.
D’altronde, a differenza di un Festival, una Festa non deve necessariamente presentare film altrimenti invisibili ma celebrare piuttosto il rito collettivo della visione in sala.
E questo la Festa del cinema di Roma lo ha sempre saputo fare benissimo.
A come Alice nella città, manifestazione nata prima della festa (compie 15 anni), che da tre anni è tornata ad essere autonoma e parallela.
Presenta una variegata selezione di film per l’infanzia e l’adolescenza con un proprio concorso (gestito da una giuria in età scolare).
Le proiezioni oltre che all’Auditorium (rinominato Villaggio del cinema) si tengono nelle lontanissime sale Admiral ed Europa (quest’ultima del circuito My Citiplex). della serie o si sceglie il Villaggio o si scelgono questi due cinema. Ma cosa pensava chi ha organizzato le proiezioni?!?
V come Villaggio del Cinema. Su via de Coubertin parallelo al portico che conduce all’ingresso alla cavea dell’auditorium durante i giorni della Festa vengono allestiti vari stand che ospitano chioschi informativi, spazi dedicati agli incontri col pubblico, spazi ristoro e una sala extra (una volta erano due) che cambia nome ogni anno a seconda dello sponsor (i primi anni una delle due sale si chiamava Ikea ed era arredata da mobili e lampadari del negozio svedese. Adesso è un puro ricordo).
Ricordiamo anche una libreria dedicata ai gadget della festa che purtroppo non viene più allestita da diversi anni.
Rispetto le prime edizioni nelle quali la programmazione occupava tutte e tre le sale dell’Auditorium (più la quarta sala, il teatro studio adesso rinominata sala Borgna) e si svolgeva anche nelle due sale aggiuntive del Villaggio, per un totale di 6 sale (alle quali si aggiungevano altre dislocate in varie parti di Roma) già da qualche anno le sale dell’auditorium imprestate alla festa sono solamente due (la sala Santa Cecilia continua la sua programmazione di musica classica) mentre la seconda sala del villaggio è stata sostituita dalla sala cinema del museo MAXXI.
T come 3 e Google Cinema Hall. Così si chiama quest’anno la sala aggiuntiva costruita nelle vie limitrofe l’Auditorium.
La sala di quest’anno ha una capienza molto molto ridotta rispetto quella che ha caratterizzato le trascorse edizioni. Era la sala dedicata alle matinée per le scuole.
Vuol dire che quest’anno meno scolaresche salteranno ore di lezione per vedere film in lingua originale…
E’ una sala che ha una serrata programmazione. Il dimezzamento (a occhio) della sua capienza si ripercuoterà sul pubblico pagante e di persone accreditate che subirà sovraffollamenti e relativi nervosismi… dei qual vi riferiremo puntuali come una cambiale.
B come Borgna, la quarta sala dell’Auditorium, uno dei gioielli progettato da Renzo Piano, che ha sempre avuto un gran numero di posti.
Quest’anno però è stata allestita con un orientamento diverso dal solito (lo schermo occupa la facciata dalla quale una volta si entrava, e, cosa molto più importante, ha un 40% di posti in meno…)
Scopriamo parlando con le alacri maschere dell’Auditorium che il teatro studio veniva riallestito per la Festa, mentre quest’anno, per risparmiare soldi, è stato mantenuto l’allestimento solito che ha tutto l’anno.
Risultato la sala è sempre sold out e per poterci entrare bisogna fare file anche di 50 minuti (di orologio).
D come Donne, giovani, mature, forti, agguerrite, silenziose, calme, nervose, immensamente belle e sopra una spanna a qualunque controparte maschile immaginabile.
Sono le protagoniste di alcuni dei film in programmazione, da Catherine Denevue che in Tout nous separe (ne abbiamo già parlato qui) difende la figlia (e non solo) con una energia che il suo personaggio non sembrava proprio avere, a Sandrine Bonnaire che in Prendre le large (ne abbiamo parlato qui) si avventura al largo della sua vita nuova, quella successiva ai ruoli di moglie e di madre, essendo finalmente donna per se stessa, a Lalla lulli che in Who Are We Now (ne parliamo qui) sa riconoscere i limiti della vita in cui vive mitigando alle proprie esigenze per rispetto a quelle del figlio, senza rinunciare al ragazzino ma facendo i conti con la libertà altrui che a volte, nostro malgrado, ci deve limitare.
Donne magnifiche splendidi rispecchiamento di quelli che costellano le vite di tutte noi anime mortali.
Donne alle quali va il nostro affettuoso saluto.
G come Gente, quella che assiepa le proiezioni sempre gremite, sempre colme di giovanissimi e giovanissime, la cui curiosità è pari alla loro capacita onnivora di vedere ogni sorta di film.
Persone impreparate che non vengono più formate alla storia del cinema e che, da autodidatte, tradiscono grosse tare nella loro preparazione, ma che non si spaventano davanti a nulla e navigano tra un film e l’altro, a braccio, con una voglia e un entusiasmo che fanno ben sperare per il futuro, anche se a volte il fatto di non rendersi conto che hanno delle gravissime lacune può diventare fonte di una involontaria arroganza perché non basta avere letto la scheda di Wikipedia su Antonioni per dire di conoscerlo…
V come Vecchietti e Vecchiette (alla faccia del politicamente corretto) che arrancano su per le scale dell’auditorium (ignorano dell’esistenza degli ascensori senza i quali noi arrancheremo a nostra volta) e si regalano la gioia di vedere film in sala in versione originale con una curiosità che commuove e diventa un esempio di vita.
S come Sigla, quella di Alice, che finalmente può chiamarsi tale dopo la patetica esperienza del collage vhs degli anni passati, e quella della Festa che quest’anno omaggia i musical o le scene musicali dei film non solo americani: Da Cabaret a Sweet Charity, da Pane amore e… a Stormy Weather, da West Side Story a Pulp Fiction, passando per The Producer (versione 1968) e Funny face, una silloge di cultura musicale al cinema elegante, intelligente, indispensabile.
(4 novembre 2017)
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