di Vittorio Lussana
Arieccoci qua, a parlare di Roma. Spesso male, talvolta bene, come in questo caso. Nei giorni scorsi, quelli del periodo natalizio, ero in missione nella mia Lombardia, dove c’è un altro pezzo della mia vita. Pertanto, non ho potuto scrivere nulla sulla capitale d’Italia, dato che non c’ero. Tuttavia, ho letto la notizia dei cinghiali presentatisi al Pronto Soccorso del Gemelli: un ulteriore episodio di una saga, che sta ormai deliziando i principali quartieri di Roma nord.
In realtà, non si tratta di una notizia da strapparsi i capelli: l’intero comprensorio ospedaliero dell’Università cattolica del Sacro Cuore è immerso nel parco di Monte Mario. Il quale, è praticamente sterminato e attraversa l’intera valle Aurelia. In quel parco, meritoriamente ripulito e riaperto al pubblico negli anni ’90 del secolo scorso dall’allora sindaco di Roma, Francesco Rutelli, che a queste cose ci teneva, vivono questi ormai famosi e impertinenti cinghiali romani. I quali, forse alla ricerca di cibo, hanno cercato sostentamento presso il primo agglomerato che sono riusciti a individuare.
Infatti, avendo l’Ama finalmente raccolto la spazzatura dalle strade, le scorribande notturne di questi nostri amici suini si sono gradualmente interrotte, costringendoli a cercare nuove vie. Ecco perché si sono diretti al Policlinico Agostino Gemelli: speravano di rimediare un cappuccino alle macchinette del caffè. E forse, di trovare anche qualche brandello di merendina gettata nei vari cestini per la raccolta differenziata: tanto loro non hanno il problema di diventare “tutti ciccia e brufoli”, come recitava un vecchio spot pubblicitario di qualche anno fa.
Insomma, a parte questo nuovo episodio dei nostri amici suini, in questi giorni lombardi avevo scritto un post su Facebook per avvertire tutti quanti in merito agli ultimi dati provenienti da alcune ricerche internazionali, in particolare quelli canadesi, relative alla variante Omicron. Avevo scritto cose varie, tutte verificatesi: rischi di doppia pandemia; primo segnale di affievolimento del virus pandemico, anche se meno importante di quanto qualcuno sperava (avevo previsto anche questo…); individuazione di una cadenza annuale delle vaccinazioni anti-Covid, da effettuare, più o meno, nei mesi autunnali.
Subito, si sono scatenate le teorie più disparate, non soltanto tra i No vax: chi profetizzava la possibile circolazione di due ceppi virali in contemporanea, ipotesi parzialissima in quanto valida solo per poche settimane; chi parlava già di quarta dose, quando ancora dobbiamo finire di somministrare la terza; infine, grazie al cielo, è arrivata da Rtl, una radio molto seguita a Roma, la saggia voce del professor Vaia dell’istituto Spallanzani: i mesi estivi limiteranno la circolazione del virus e si sta studiando un regime di vaccinazione annuale come per l’influenza. Punto, fine degli schiamazzi televisivi, che adesso si sposteranno, probabilmente, sul versante delle cure, come già la leghista Susanna Ceccardi ci ha vivacemente segnalato.
In ogni caso, tutto ciò sottolinea, ancora una volta, la stranezza della città di Roma: alcune cose sono da terzo mondo; altre, come lo Spallanzani, sono un’eccellenza di livello mondiale. Addirittura, è probabile che proprio i medici di questo meraviglioso istituto, in collaborazione con gli scienziati sudafricani, riusciranno a produrre un vaccino romanista contro Omicron. Andrà a finire che anche i vaccini diventeranno una specialità della casa. Come la coda alla vaccinara: un piatto che potrebbe diventare addirittura un destino.
(11 gennaio 2022)
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