di Andrea Mauri
A trent’anni esatti dal massacro di Srebrenica, il festival ha aperto la serata dell’11 luglio con la partecipazione della scrittrice Elvira Mujčić, nata in Jugoslavia ed emigrata in Italia durante la guerra in Bosnia Erzegovina. Tra le sue pubblicazioni: Dieci prugne ai fascisti, Consigli per essere un bravo immigrato (editi da Elliot) e La buona condotta (Crocetti). Il suo prossimo libro, La stagione che non c’era, uscirà a fine agosto 2025 per Guanda. Il suo testo inedito, Un luogo sicuro, profondo e toccante, ha affrontato il tema dell’adozione e del figlio adottato che ritorna a Srebrenica alla ricerca dele origini e in un certo senso, per sentirsi al sicuro. Ritrova la casa della famiglia originaria completamente devastata e un senso di profonda delusione lo pervade. Ecco però apparire una sorta di eccitazione, l’energia che gli attraversa il corpo, pensando alla ricostruzione di quelle macerie, a come trasformare un luogo di morte in un luogo di vita. Nella casa d’infanzia il figlio adottato ricomincia a sognare, seppure nel dolore dell’11 luglio 1995 e nella fatica di rivangare il passato, nello sforzo di superare la diffidenza verso il prossimo e la sensazione di non appartenere a niente e a nessuno.
Poi è stata la volta di Benjamín Labatut, autore di Quando abbiamo smesso di capire il mondo e La pietra della follia, che con MANIAC (Adelphi) ha vinto il Premio Malaparte 2023 e il Premio Hemingway 2024. Anche lo scrittore cileno si è soffermato sull’infanzia con il testo inedito Ricordi di un altro mondo. Ha raccontato al pubblico dello Stadio Palatino la sua infanzia inventata, i ricordi costruiti con la fantasia, il suo desiderio forte di mischiare realtà e immaginazione. Un prezzo alto da pagare in età adulta, perché si cerca di reiterare l’istinto di ricostruire una vita spontanea e invece ci si scontra con la constatazione che la memoria si consuma, si degrada con l’uso e la ripetizione. Dove sta il paradosso? Se si vuole conservare un ricordo, bisogna ignorarlo del tutto per non consumarlo nel tempo.
Altrettanto attesa, Jenny Erpenbeck, astro della letteratura tedesca contemporanea, autrice di E non è subito sera con cui ha vinto il prestigioso Hans Fallada Prize, Voci del verbo andare, Premio Strega Europeo 2017, finalista al Deutscher Buchpreis, e Kairos (Sellerio) vincitore dell’International Booker Prize 2024. L’autrice ha fatto un elenco delle speranze della sua famiglia. Le ha descritte nel testo Speranza – Tempo, alcune speranze si sono realizzate, altre sono state disattese. Dalla speranza è passata al tempo, ragionando su come ogni tre secondi diventiamo estranei a noi stessi.
A concludere la serata è stato Georgi Gospodinov, poeta e prosatore innovativo e raffinato. Lo scrittore bulgaro contemporaneo più acclamato a livello mondiale, con Fisica della malinconia (Voland) è stato finalista al Premio Von Rezzori e al Premio Strega Europeo; Cronorifugio (Voland) gli è valso il Premio Strega Europeo 2021 e l’International Booker Prize 2023. Il giardiniere e la morte (Voland, 2025) è il suo ultimo romanzo. Anche lo scrittore ha ripercorso i luoghi dell’infanzia nel testo inedito Ritorni possibili e impossibili. La delusione che lo pervade nello scoprire una terra che gli è ormai straniera e il dolore di associare il ritorno a un presente senso di morte. Durante il comunismo in Bulgaria, il mondo era chiuso. L’istinto era quello di rifugiarsi nel passato per paura di quello che sarebbe stato il futuro senza un regime. La contraddizione triste è constatare che i populismi di questa epoca storica fanno esattamente lo stesso: si rifugiano nella narrazione del passato perché il futuro è già completamente esaurito.
Il gruppo dei Mokadelic ha accompagnato la serata tra una lettura e l’altra.

(14 luglio 2025)
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