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“Inquiete”, il festival di scrittrici che è un piacere seguire

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di Andrea Mauri

Che bella atmosfera al cinema Avorio nel quartiere Pigneto di Roma, sede dell’ottava edizione di Inquiete”, il festival di scrittrici che ormai si è affermato nella scena letteraria romana come una lente sui femminismi.

Tante le scrittrici che nei due fine settimana del 18 e 19 ottobre e del 25 – 27 ottobre si sono avvicendate sul palco del cinema, ma hanno dato appuntamento alle / ai fan anche in un altro luogo storico del quartiere, la libreria di donne Tuba in via del Pigneto. E tante e tanti le/gli amanti della scrittura, della letteratura, della narrazione, della poesia, che hanno affollato i luoghi del festival in un’atmosfera che riempiva i corpi di festa e di voglia di stare insieme.

Il format di Inquiete è quello delle tavole rotonde dove autrici, giornaliste, filosofe discutono di un tema specifico. Si è parlato di scrittura breve con Veronica Raimo e Valeria Parrella, di scrittura ai margini con Claudia Durastanti, Djarah Kan e Carmen Notarangelo. E ancora, i ritratti di signora: le grandi donne della letteratura mondiale come Simone de Beauvoir raccontata da Elena Stancanelli, Agatha Christie nelle parole di Valeria Palumbo, Marguerite Duras con Rosella Postorino. E per la prima volta, la sezione “Esordire al presente”, uno spazio aperto a tre autrici esordienti per raccontare il loro lavoro.

Nella sala buia del cinema Avorio, illuminata da fasci blu e da fari potenti sul palco, ciò che colpiva è stato il silenzio del pubblico, una platea che seguiva gli interventi parola per parola, pronto a far scattare un applauso contagioso nei passaggi più importanti che le autrici hanno condiviso con il pubblico. 

È accaduto con Daria Bignardi e con il suo ultimo libro “Ogni prigione è un’isola” (2024, Mondadori), scritto dopo decenni trascorsi a collaborare con il carcere di San Vittore di Milano. Nella sua carriera, a un certo punto, l’autrice ha sentito l’esigenza di raccontare la sua esperienza, soprattutto perché sul tema del carcere c’è sempre stato uno sguardo prevalentemente maschile. Era ora mettere nero su bianco anche un punto di vista femminile. Il carcere è un luogo di oppressioni che si intrecciano, ma possiede anche qualcosa di magnetico: una volta che si portano avanti dei progetti con i detenuti, poi è difficile tornare indietro. Perciò si invoca spesso l’apertura all’esterno del mondo carcerario, un argomento che non è mai stato sostenuto sul serio perché, secondo Daria Bignardi, non porta voti. Ma, andando oltre, si potrebbe pensare anche ad altre soluzioni, perché il carcere è un luogo di sofferenza per i detenuti e per chi ci lavora.

Nella pausa tra un incontro e l’altro la folla occupava l’ingresso del cinema dove la libreria Tuba ha allestito un banchetto con i libri di cui si parlava al festival. Una lunga coda aspettava il firmacopie con l’autrice di turno. C’era un brusio festoso, che continuava sul marciapiede all’esterno, ci si salutava, ci si incontrava per ragionare degli argomenti trattati nella giornata; si aveva la sensazione di non voler lasciare quel posto, che tratteneva il pubblico attraverso i tentacoli della riflessione. Fino a quando non si è tornati in sala, questa volta per assistere al monologo di Caterina Venturini sulle identità al margine e sull’interrogativo principe del suo intervento: perché non siamo ancora dove si decide? Secondo l’autrice, il femminismo arricchisce la società, è importante concedergli lo spazio che si merita e soprattutto bisogna superare l’attrazione verso il margine per non esserne inghiottiti. 

Cercando di sfogliare i volumi in vendita per tentare di trovare altri spunti di riflessione sull’interrogativo posto al pubblico, il tema della scrittura ai margini lanciava un’altra provocazione: siamo sicuri che sappiamo davvero che cosa sia il razzismo? O meglio, che gli intellettuali sappiano sul serio di che cosa si tratti? Una provocazione, dicevamo, lanciata dalla scrittrice Djarah Kan (Ladri di denti, 2020, People), nata e cresciuta a Castel Volturno, di origini ghanesi da parte materna. Il razzismo è offensivo, non crea cultura né letteratura, allontana dal significato di comunità. E a questa provocazione ha fatto eco Claudia Durastanti (Missitalia, 2024, La Nave di Teseo), che avvia la sua scrittura dal margine come punto di osservazione della realtà, e Carmen Notarangelo, autrice di un racconto nella raccolta dal titolo Sciroccate, (2023, Tamu Edizioni), dove riflette su cosa significa sentirsi meridionali quando non si abita più al sud, scardinando gli stereotipi sulla narrazione di un certo mezzogiorno.

Come dicevamo, Inquiete è arrivato all’ottava edizione e non ha abbandonato mai l’idea iniziale che è stata il motore di questa bella manifestazione: concentrarsi sul tema dei femminismi e di un festival tutto al femminile. E il percorso preparatorio è assai lungo. Solo qualche giorno di riposo dopo la fine del festival e subito si pensa all’edizione successiva. Quattro sono le donne ideatrici del festival: Francesca Mancini e Maddalena Vianello (entrambe hanno lavorato alla Regione Lazio con la scrittrice Lidia Ravera quando era assessore alla cultura e politiche giovanili), Barbara Leda Kenny e Barbara Piccolo (fondatrici della libreria femminista Tuba) e l’intero gruppo di lavoro che conta quindici persone. C’è il tempo di contattare le case editrici per leggere i libri che usciranno nell’anno e buona parte dell’inverno e della primavera trascorre con il gruppo immerso nei romanzi e nelle storie da scegliere. Da maggio e per tutta l’estate l’ufficio stampa (grazie al lavoro di Giulia Magi) contatta le autrici da invitare tramite le case editrici e arriva così il momento delicato di dare forma al programma, avvalendosi anche di un piano di strategia sui social.

L’aspetto fondamentale che le organizzatrici tengono a sottolineare è che Inquiete è un festival gratuito. Gli eventi sono aperti al pubblico e anche questo spiega l’affluenza massiccia di persone interessate, che possono partecipare agli incontri di altissimo livello senza pagare il biglietto e se vogliono, facendo una donazione all’organizzazione per assicurarsi che ci sarà ancora Inquiete il prossimo anno. Il sostegno economico è arrivato un paio di volte da Roma Capitale attraverso il bando dal nome “Culture in movimento”. C’è anche un contributo importante dalla Fondazione Charlemagne per il progetto “periferia capitale” e un piccolissimo sostegno da Bper Banca. Ma il budget è sempre inferiore rispetto alla grandezza del festival, tenendo conto soprattutto che le scrittrici invitate partecipano a titolo gratuito e nessun gettone di presenza viene previsto per loro.

Il risultato di questo lavoro lungo un anno è sotto gli occhi di tutti. Un luogo privilegiato dove riflettere su temi attuali, quali la violenza di genere, il razzismo, la scrittura ai margini, la fluidità di genere. c Per informazioni: https://www.inquietefestival.it.

 

 

(29 ottobre 2024)

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