di Vittorio Lussana
La Giornata internazionale contro la violenza sulle donne ci dà modo, ancora una volta, di specificare perché non siamo di fronte al ritorno di una strutturazione di tipo patriarcale. Il patriarcato, infatti, presuppone l’esistenza di una cultura del padre, arbitro incontestabile della condizione familiare. Una concezione che si è già estinta con l’avvento della società dei consumi, sostituita dalla famiglia mononucleare, basata cioè su una rigida divisione dei ruoli, in cui la donna viene vista come angelo del focolare.
Anche questa impostazione è in via di evoluzione. Tuttavia, ciò che rimane, oggi, del patriarcato sono solamente dei retaggi, delle abitudini culturali preconfezionate, congiunte a diverse forma di pigrizia mentale, soprattutto maschile. Il ruolo sociale della donna, per interi millenni, è stato quello di vivere una vita di sacrifici. Ciò era fatto immanente soprattutto nei sistemi culturali e valoriali imperniati sulle religioni.
Il moralismo religioso, infatti, ha storicamente inculcato, come peculiarità femminile, quella di essere sempre pronte e disposte a immolarsi. Che gli uomini amino farsi amare e servire e che, per interi secoli, abbiano messo in testa alle donne che ciò sia loro precipuo compito, è semplicemente il dato di fondo di una concezione maschilista bisognosa di sudditi, poiché educare le donne al fine di servirsene rappresenta, da sempre, il naturale privilegio dei dominatori: cose da maschi, insomma.
In tutte le società organizzate socialmente sulle religioni si trovano solamente delle varianti o delle sottospecie di tali princìpi. Ma si tratta di variazioni meschine, poiché in realtà non vi è nessuna reale presa di distanza rispetto allo spirito multisecolare che da sempre caratterizza il difficile rapporto tra le donne e le religioni. Se in Iran si continua a non vedere di buon occhio una capigliatura femminile, ciò avviene perché il fideismo irrazionalista non riesce proprio a distaccarsi, né a distinguersi, da un modello maschilista del mondo.
La morale cattolica non si eleva affatto al di sopra delle altre: il suo Dio si comporta esattamente come gli viene richiesto: “Alla donna l’Eterno disse: io moltiplicherò grandemente le tue pene. Tu partorirai con dolore e i tuoi desideri si volgeranno verso il tuo uomo, che dominerà su di te” (Genesi 3,16). Le parole di un Dio creato apposta per addossare la concupiscenza tutta intera alle donne sono tipiche di quasi tutte le religioni. Ma si tratta di costruzioni ingannevoli, che stravolgono la realtà. Chi genera veramente la libidine? Chi legittima concretamente i rapporti di possesso tra uomo e donna?
Ogni qual volta Dio ha aperto bocca, Eva ha sempre saputo bene cosa la attendeva, poiché, sin dai tempi più antichi, i patriarchi di tutte le religioni hanno sempre saputo tenere in piedi, senza crepe, le proprie rispettive tradizioni. Il Vaticano, ancora nel 1988, sentenziava espressamente sulla “dignità e la vocazione della donna”, facendo diretto riferimento a essa unicamente come “moglie e madre ubbidiente, succube dell’uomo per fondamentale retaggio dell’umanità”. Ovvero, come fatto voluto da Dio, che pare non vedere di buon occhio una donna indipendente, impegnata in un’attività lavorativa qualsiasi, magari di natura dirigenziale.
La Riforma protestante, per parte sua, liberò le suore dai loro voti, controllando tuttavia severamente che esse divenissero delle brave donnette di casa, docili e mute. Lutero in persona definì l’uomo “superiore e migliore” e la donna “un mezzo bambino, un animale pazzo”. Questo monaco parlò con l’animo e il lessico più tipico del proprio sesso, predicando come “massimo onore della donna mettere al mondo figli maschi”. Ma anche Giovanni Paolo II, nel 1996, si è richiamato espressamente all’apostolo Paolo, utilizzando una tra le innumerevoli frasi più misogine del celebre santo dispregiatore della femminilità: “La donna impari in silenzio, con sottomissione. Non sia permesso ad essa di insegnare, né di usare autorità sul marito, perché Adamo fu formato per primo, poi venne Eva. E Adamo non fu sedotto, bensì la donna, la quale cadde in tentazione. Nondimeno, essa sarà salvata partorendo figlioli e perseverando nella fede, nell’amore e nella santificazione con modestia”. Così parlò San Paolo: che le donne sappiano, una volta e per sempre, cosa debbono o non debbono fare.
L’intera storia della misoginia fideista dimostra pienamente come le volontà imposte delle religioni non abbiano nemmeno bisogno di trasformarsi. I capisaldi rimangono univoci, le definizioni dei ruoli sociali immutabilmente stabiliti nel tempo. Nel corso del cammino dell’intera umanità, allorquando la predicazione iniziò a non dare più frutti, si iniziò dunque a far ricorso al mezzo, non meno collaudato, della violenza: innumerevoli furono le donne che, denunciate come streghe, dovettero morire perché così vollero gli annunciatori tracotanti della parola di Dio. Fintantoché le religioni, prese nel loro complesso di ammorbante orientalismo cumulativo, avranno potere sugli animi, gli uomini la faranno sempre pagare alle donne, mantenendole in una condizione di subalternità.
Il ‘Maglio delle streghe’ fu pubblicato nel 1487 ed ebbe la benedizione di un Papa. Esso venne divulgato in tutto il mondo come autorevole documento della Chiesa e, in tutte le sue edizioni (una trentina), è perennemente rimasta inclusa una bolla che incita espressamente all’uccisione delle donne. Contro di essa, per più di 200 anni, non vi fu uno straccio di Pontefice disposto a spendere una parola in senso contrario. E le donne dovettero subire penosi interrogatori o essere oggetto di invereconde investigazioni da parte dei religiosi.
L’occidente cristiano si è concesso migliaia di carnefici che mai si stancavano di esaminare sui corpi delle donne la loro appartenenza a Satana. Nell’anno 1485, solamente a Como, vennero arse vive 41 presunte streghe dopo alcuni processi sommari. Ma le donne, come anche dichiarato nel protocollo di un processo del XIV secolo “non possono che lasciarsi conciliare con la Chiesa, senza tuttavia impedire di essere consegnate al potere temporale, che provvederà alle pene richieste”.
Il Concilio di Trento (1545–1563) fruttò nuovi importanti dogmi per reagire allo scisma luterano, senza spendere una sola parola sullo sterminio degli eretici, degli ebrei e delle donne. E i roghi che da quel Concilio discesero non destano, oggi, alcun interesse storiografico. Eppure, si trattò di una strage protrattasi nei secoli, non ha riguardato solamente alcuni casi isolati di peccatrici, bensì fu una vera e propria dottrina papale. Si pose fine alle uccisioni solo dopo che si imposero voci provenienti dall’esterno della Chiesa di Roma, la quale si è sempre giustificata attribuendo le proprie malefatte alla volontà di Dio. Perché il suo Dio è ubbidiente: asseconda docilmente lo spirito dei tempi.
E oggi? Oggi va di moda il cicaleggio apologetico degli epigoni, che si traggono d’impaccio attraverso le omissioni al fine di far dimenticare la realtà storica delle persecuzioni. Oggi, la teologia cattolica preferisce arrovellarsi sull’esistenza materiale di Satana, il quale astutamente seduce gli uomini per mezzo del razionalismo e del relativismo scientifico, in una sorta di diabolico adescamento: siamo veramente di fronte al bue che dà del cornuto all’asino.
In tutto questo, è impossibile non evidenziare la millenaria paura degli uomini nei confronti delle donne: un terrore che ha generato una violenza nuda e cruda, che ha portato teologi come Alberto Magno a definirle degli “esseri difettosi”, mentre San Tommaso d’Aquino, dottore supremo della Chiesa e delle sue corbellerie, si è limitato a considerarle “degli uomini mal riusciti, delle persone a cui manca qualcosa per realizzare la più autentica natura umana”.
Persino l’agostiniana ‘Civitas Dei’, uno dei libri fondamentali della cultura occidentale, si lascia andare al delirio di un paradiso senza peccato, poiché ne rimane estranea la passione del sesso. Perché la verità di fondo delle tradizioni religiose, soprattutto nei confronti delle donne, anche di quella cattolica, è sempre stata la stessa: esse possono salvarsi dalla propria reputazione di prostitute, presentandosi come verginali fidanzate, come fedeli consorti o in quanto madri di molti bambini.
Venendo all’oggi, la verità va detta per quello che è: certe strombazzanti campagne contro gli immigrati in quanto principali responsabili delle violenze contro le donne sono rivolte, per lo più, a uno zoccolo duro di cittadini impregnati di un cattolicesimo familista, i quali non hanno ancora del tutto digerito alcune svolte di modernizzazione come, per esempio, il divorzio; che rifiutano ogni equiparazione delle unioni civili al matrimonio religioso; che di fronte a temi come quelli dell’omosessualità, della fecondazione assistita, della ricerca scientifica a fini terapeutici o del fine-vita, desiderano solamente volgere il proprio sguardo da un’altra parte.
In generale, il tema della violenza sulle donne serve soprattutto al fine di sdegnarsi per le gravissime conseguenze che si leggono sulle pagine di cronaca, senza tuttavia sfiorare minimamente le cause più autentiche del problema, che non discendono soltanto da una sostanziale assenza delle forze di Polizia nelle grandi periferie urbane, bensì – se non soprattutto – da una cultura di massa ancora fondamentalmente maschilista e discriminatoria nei riguardi dell’intero genere femminile.
Certamente, generano clamore le notizie delle tante ragazze stuprate da un branco di vigliacchi o vittime di femminicidio. Ma alla fine, ciò serve soprattutto per nascondere un dato di fatto ben preciso: la maggior parte delle violenze sulle donne, sia materiali, sia psicologiche, trovano il loro terreno più fertile, il proprio habitat più comune, tra le mura domestiche. Ovvero, nella tanto decantata famiglia, che personalmente considero un mero involucro di ingiustizie e infelicità.
Studiare più a fondo il tema dell’attualizzazione di una più moderna cultura della famiglia, di un suo allontanamento rispetto a certe apologie di stampo teologico, di un allargamento della sua stessa base sociale, di una sua maggiore apertura nei confronti del mondo esterno, insieme a quello dell’approfondimento del nuovo ruolo che le donne stanno assumendo in una società ormai in via di definitiva secolarizzazione, vengono tutte considerate questioni da intellettuali radical–chich. Obiezioni giudicate con fastidio e regolarmente sottoposte alle lenti di ingrandimento dei giudizi più moralistici o dei più odiosi pregiudizi.
La difficile condizione delle donne italiane discende, principalmente, da gravissime arretratezze culturali. Questo è un argomento che possiede persino una propria connotazione territoriale, anche nei gruppi sociali più aperti e progressisti. Nella cultura degli italiani del Mezzogiorno, per esempio, permane una visione sostanzialmente conservatrice nei confronti delle donne e della conduzione della famiglia: i siciliani rimangono appiccicosamente gelosi; i campani difendono il proprio nucleo familiare in quanto isola di rifugio della propria incapacità di organizzarsi in forme autonome; i pugliesi vivono l’ambiente familiare come un luogo in cui perpetuare un tradizionalismo portato ad eccessi autistici; i calabresi, in forme variamente affettate, considerano la donna alla stessa stregua di uno stravagante animale domestico.
Nel centro e nel nord del Paese, l’analisi si differenzia: nelle città più grandi si vive una fase sostanzialmente primordiale di nuova socialità libera e aperta, ma nelle province più piccole vigono ancor’oggi retaggi atavici, ritualisti, che rendono il possesso dei beni materiali – e quindi anche delle donne – obiettivo primario dell’esistenza stessa.
Insomma, sia nelle famiglie più aperte, sia in quelle più tradizionalmente conservatrici, impera uno strano familismo all’italiana che si rifiuta di assumere determinati elementi di riflessione critica nei confronti del proprio modo di vivere, della propria mentalità, dei propri comportamenti sociali, utilizzando altresì i più angoscianti e severi pregiudizi per giudicare il prossimo: ma quanta bella carità cristiana! Anche i rivoluzionari più estremi, alla fin fine, non si rivelano altro che dei moralisti pronti a soffocare ogni questione di libertà individuale, rilasciando volgari patenti di libertinismo alla prima ragazza che decide di separarsi dal marito per evidenti ragioni di incompatibilità caratteriale o, addirittura, per sfuggire a violenze e umiliazioni quotidiane. Viceversa, nelle famiglie a forte stampo cattolico integrista vige il più netto rifiuto a mutare, o quantomeno a mutuare, ogni regola di convivenza civile, al fine di rifugiarsi nel più sordo dei ripiegamenti egoistici.
Essere donne è particolarmente difficile, in Italia: questa è la verità. Rimane fuor di ogni discussione che non viviamo all’interno di un brodo culturale paragonabile a quello del mondo islamico più fondamentalista. Tuttavia, non ne siamo nemmeno troppo lontani. La cappa soffocante di convenzioni e di comportamenti che vige nella cultura di fondo di questo Paese è ciò che impedisce ogni presa di coscienza su come si stiano ottenendo risultati assolutamente opposti, rispetto a quelli desiderati: si continua a rifiutare ogni forma di innovazione, distaccandosi dalle questioni poste da una società che avanza inequivocabilmente, rafforzando altresì impulsi e tendenze generaliste che finiscono col diventare la vera linfa vitale della trasgressività più violenta ed eversiva.
Il recente sovranismo politico, nel suo utilitarismo opportunistico, sostanzialmente strumentalizza tali problematiche per evidenti interessi di natura elettorale. Ma anche il fronte progressista, che dovrebbe possedere strumenti culturali più adatti ad affrontare con maggiore attenzione e sensibilità questo genere di questioni, sembra intenzionato a lasciare per strada proprio tali qualità, al fine di inseguire – e poi un giorno rappresentare – l’ipocrisia di fondo del moderatismo qualunquista italiano.
Tutto ciò diviene, come ho già scritto in altre occasioni, la causa primaria di una gravissima caduta di valori e di una deriva utilitaristica che sta ormai imperversando, senza freno alcuno, nella nostra società.
(25 novembre 2024)
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