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Carla Lonzi, un archivio a rischio nonostante sia unico nel suo genere

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di Fabio Galli

L’Archivio Carla Lonzi, conservato presso la Fondazione Lelio e Lisli Basso di Roma, è una vera e propria miniera per chiunque desideri esplorare a fondo il pensiero e l’attività di una delle figure più rivoluzionarie e anticonformiste del femminismo italiano. Carla Lonzi, critica d’arte e teorica, fu co-fondatrice del collettivo Rivolta Femminile e una voce fondamentale negli anni ’70, quando, stanca del mondo dell’arte, decise di abbandonarlo per dedicarsi completamente all’impegno politico e intellettuale femminista.

L’archivio raccoglie una serie di materiali molto preziosi: lettere, appunti, diari e scritti inediti, che offrono uno spaccato intimo e diretto del percorso di Lonzi. Attraverso queste carte, emerge la sua visione di un femminismo radicato nella soggettività e nella libertà individuale, come anche le sue riflessioni su temi come l’autodeterminazione e il rifiuto dei ruoli imposti.

Ciò che rende questo archivio unico è la sua natura schietta e non filtrata, in pieno stile Lonzi. Nei suoi diari, si scopre una voce che non ha paura di mettersi in discussione e che rifiuta le convenzioni, anche all’interno del movimento femminista stesso. È un archivio che non solo racconta la storia di una donna, ma ci interroga su come concepiamo la liberazione personale e collettiva.

Un’occasione imperdibile per chi vuole comprendere fino in fondo la forza radicale e visionaria di Carla Lonzi, lontana dagli stereotipi, e scoprirne la complessità in tutta la sua autenticità.

Oltre a lettere e diari, l’Archivio Carla Lonzi alla Fondazione Basso custodisce anche documenti che testimoniano il ruolo chiave di Lonzi nella critica d’arte italiana degli anni ’60, prima della sua “separazione” dal mondo dell’arte ufficiale. Tra questi, i suoi celebri “dialoghi” con artisti come Pietro Consagra, Jannis Kounellis, Luciano Fabro e Pino Pascali, che hanno dato origine a Autoritratto (1969), un libro-anti-monografia che rifiuta ogni nozione tradizionale di critica per lasciare agli artisti stessi il compito di raccontarsi. Questo testo rappresenta un momento di rottura, non solo perché rinuncia a qualsiasi giudizio, ma perché scardina la gerarchia tra critico e artista, ponendoli su un piano di ascolto reciproco.

L’archivio contiene anche manoscritti e riflessioni su quella che Carla Lonzi chiamava la “differenza irriducibile” tra donne e uomini, anticipando temi poi centrali nel femminismo della differenza. È qui che Lonzi elabora l’idea del rifiuto della “complicità col patriarcato” che, secondo lei, si annidava anche nei gesti più comuni, persino nel linguaggio. Attraverso appunti sparsi, lettere e frammenti inediti, è possibile vedere come Lonzi abbia costruito una visione del femminismo che, a differenza di molte altre teorie, non cercava l’uguaglianza o l’assimilazione, ma un’identità femminile autentica, mai derivata dalla misura maschile.

Inoltre, tra i documenti vi sono materiali sul gruppo Rivolta Femminile, da lei fondato insieme a Carla Accardi e Elvira Banotti. Questi testi mostrano la radicalità del pensiero di Lonzi, che vedeva il femminismo come una vera e propria rivoluzione personale e collettiva, uno sforzo per ripensare ogni aspetto dell’esistenza e per sovvertire l’intera struttura sociale, non semplicemente un movimento di emancipazione.

L’Archivio Carla Lonzi, insomma, non è solo un deposito di carte, ma un luogo di incontri inattesi, dove il suo pensiero frammentato e profondo emerge a tratti esplosivo, a tratti intimo, e sempre denso di visioni che continuano a interrogare.

L’Archivio Carla Lonzi alla Fondazione Basso, in realtà, offre molto di più di una semplice raccolta di documenti storici: è un laboratorio di idee radicali, una testimonianza che ci parla della solitudine, dell’audacia e della lucidità di una donna che ha saputo attraversare e rifiutare i canoni imposti. Carla Lonzi, infatti, non ha mai cercato di essere “comoda” o “accettabile”, nemmeno all’interno del femminismo stesso. Negli scritti conservati nell’archivio, emerge chiaramente il suo rifiuto della cooptazione in qualunque sistema, anche quello delle istituzioni culturali e politiche che, secondo lei, rischiavano sempre di fagocitare il dissenso.

Tra le gemme custodite vi sono le sue riflessioni su quello che lei definiva il “non-lavoro”: Lonzi sosteneva che l’emancipazione femminile non dovesse consistere nell’adattarsi alle strutture lavorative e produttive patriarcali, ma piuttosto nel trovare una forma autonoma di esistenza al di fuori di esse. Una visione tutt’oggi provocatoria, che anticipa temi di critica al lavoro e alla produttività come misure assolute della vita. In questo senso, Lonzi rifiutava l’idea della donna “realizzata” come conquista professionale, proponendo invece una visione esistenziale della realizzazione, incentrata sull’autenticità e sull’autodeterminazione.

Altri documenti sorprendenti riguardano la relazione epistolare con varie intellettuali europee e americane, come Simone de Beauvoir, con cui Lonzi discusse a lungo, pur mantenendo sempre una posizione originale e spesso critica rispetto a quel femminismo più universalista. Non mancano appunti su incontri e discussioni con figure internazionali dell’avanguardia e del pensiero radicale: testimonianze che raccontano di una rete intellettuale molto più ampia di quanto possa sembrare, dove Lonzi spiccava per la sua capacità di mettere in discussione i dogmi di ogni teoria.

In ultima analisi, l’archivio non è solo una testimonianza del passato ma un pungolo continuo per il presente, per chiunque voglia riscoprire un femminismo che non cerca il compromesso e che spinge a interrogarsi su cosa significhi davvero vivere senza compromessi, rifiutando qualsiasi facile integrazione. È un archivio vivo, capace di parlare ancora oggi a chiunque abbia il coraggio di accostarsi alle sue pagine e lasciarsi ispirare.

Carla Lonzi è stata una figura rivoluzionaria e impavida, capace di ribaltare i tavoli (e le certezze) non solo nel mondo dell’arte, ma soprattutto nella cultura femminista italiana. Nata a Firenze nel 1931, Lonzi inizia come critica d’arte, con un percorso accademico che sembrava destinato alla carriera tradizionale, ma in cui non si riconosceva mai completamente. Ben presto, infatti, iniziò a sviluppare un metodo critico tutto suo, lontano da qualsiasi canone ufficiale.

Negli anni Sessanta, Lonzi si fece notare per il suo approccio ai dialoghi con gli artisti. Il libro Autoritratto (1969) è un esempio brillante di questo stile: piuttosto che costruire una monografia “dall’alto”, Carla Lonzi lasciava che fossero gli stessi artisti – come Pietro Consagra, Pino Pascali, e Jannis Kounellis – a raccontarsi attraverso una serie di conversazioni spontanee, mettendo in discussione ogni gerarchia tra critico e artista. Ma questo approccio, così innovativo, non bastava a soddisfarla.

Verso la fine degli anni ’60, Lonzi compie una svolta radicale: lascia la critica d’arte, abbandona quel mondo e sceglie un altro campo di battaglia, il femminismo. Insieme a Carla Accardi e Elvira Banotti, fonda nel 1970 il collettivo Rivolta Femminile, dando vita a un movimento che non cercava di integrarsi nel sistema patriarcale, ma di decostruirlo dall’interno, e spesso senza mezzi termini. Lonzi era convinta che le donne dovessero liberarsi da ogni forma di complicità col patriarcato, e il suo pamphlet Sputiamo su Hegel è ancora oggi un manifesto di critica alla filosofia maschile dominante, che secondo Lonzi aveva ignorato l’esperienza femminile, imponendo una visione distorta della realtà.

Il suo femminismo non cercava l’uguaglianza né l’assimilazione. Per Lonzi, la vera liberazione era nello scavare un percorso autonomo, lontano dai ruoli imposti e dall’idea stessa di produttività come valore assoluto. Il suo rifiuto del “lavoro produttivo” era una posizione radicale, che anticipava alcune delle riflessioni contemporanee sul valore dell’autodeterminazione. Lonzi, in pratica, proponeva alle donne un cammino di autentica consapevolezza, libero dai vincoli di una società patriarcale e capitalista, che lei considerava soffocante per la creatività e la realizzazione personale.

Carla Lonzi muore nel 1982, lasciando dietro di sé non solo i suoi scritti, ma un’eredità di pensiero capace di scuotere ancora oggi chiunque si avvicini alla sua opera. La sua critica alla filosofia occidentale, il suo modo di vedere il femminismo come rivoluzione della quotidianità e il suo invito alle donne a non cercare accettazione ma autodefinizione, rimangono idee potenti, provocatorie e necessarie.

Carla Lonzi era molto più di una critica d’arte o una teorica femminista: era un’intellettuale che ha incarnato l’idea di dissenso come atto creativo. Ciò che la distingue è il modo in cui ha saputo usare il proprio percorso personale come laboratorio per interrogarsi e ribellarsi. La sua autobiografia, per esempio, è disseminata di diari e appunti frammentati, dove emerge il suo incessante lavoro su di sé, quasi fosse lei stessa il soggetto di una continua sperimentazione.

Un tratto unico della sua personalità era l’insofferenza verso le etichette, persino quelle che avrebbero potuto darle riconoscimento. Anche all’interno del femminismo, Lonzi non era disposta a scendere a compromessi o a smussare le sue posizioni. Il suo rapporto con le altre femministe era spesso conflittuale, poiché lei metteva in discussione non solo le strutture patriarcali, ma anche la tendenza di alcuni gruppi a trasformarsi in nuove istituzioni. Per Lonzi, qualsiasi istituzione rischiava di tradire la libertà individuale, e così cercava costantemente di mantenere vivo il dialogo con sé stessa e con le altre, senza mai farlo diventare dogma.

Interessante è il suo concetto di “relazione”: Carla Lonzi vedeva nelle relazioni tra donne una possibilità di crescita e comprensione reciproca, diversa dalle relazioni gerarchiche che caratterizzavano i rapporti nella società patriarcale. Questi legami, per lei, dovevano essere liberi, non funzionali a obiettivi sociali o produttivi. Questo tipo di visione la porta a elaborare un’idea di soggettività profondamente innovativa: Lonzi considerava l’individualità femminile come un mondo complesso e irriducibile, non misurabile secondo parametri esterni. Per lei, essere donna significava esplorare questa “differenza irriducibile” e riconoscerla come fonte di forza e autenticità.

Il suo pensiero, insomma, va oltre le singole battaglie sociali o politiche: Carla Lonzi ha tracciato un cammino esistenziale che chiama le donne (e chiunque si confronti con il proprio “essere altro”) a cercare se stesse non nell’approvazione, ma nella scoperta, anche dolorosa, della propria alterità. La sua eredità non si esaurisce, perché ci invita a ripensare il nostro modo di stare al mondo, senza farsi limitare da definizioni precostituite.

Ancora oggi, Carla Lonzi è una presenza che continua a stimolare e, spesso, a destabilizzare. Non è una “madre” del femminismo rassicurante: è una figura che sfida, che invita a rompere ogni gabbia e che, in definitiva, ci parla della potenza di una libertà scomoda e per questo autentica.

Carla Lonzi rappresenta una delle voci più singolari e irriducibili non solo del femminismo italiano, ma della cultura europea del Novecento. La sua capacità di distaccarsi da ogni compromesso e la sua critica radicale ai sistemi di potere la collocano tra quelle pensatrici capaci di anticipare il futuro. Non solo ha contestato la struttura patriarcale della società e della cultura, ma ha anche scardinato il ruolo che la donna aveva interiorizzato in essa, arrivando a esplorare una dimensione interiore e collettiva che fosse al di là delle regole imposte.

Un aspetto chiave del suo pensiero è stato il rifiuto del mito della parità che, secondo Lonzi, rischiava di mascherare la profondità delle differenze tra i sessi e di forzare le donne a una semplice imitazione dei modelli maschili. Nella sua visione, la parità non era una vera liberazione, poiché metteva la donna in una posizione subordinata anche nel desiderio di uguagliarsi. Con il suo celebre manifesto Sputiamo su Hegel, Lonzi propose una rottura netta con questa visione: per lei, l’obiettivo doveva essere l’autonomia delle donne, non una forma di equiparazione su parametri definiti da uomini. La donna, nel suo pensiero, doveva creare un linguaggio, un’identità, e una soggettività proprie, non derivate da un confronto con il modello maschile.

Questo pensiero emerge anche nel suo lavoro di critica al concetto stesso di lavoro produttivo. Lonzi era profondamente critica nei confronti di una società in cui il valore dell’individuo era determinato dal lavoro e dalla produttività. Sosteneva che le donne non dovessero cercare di realizzarsi esclusivamente attraverso il lavoro retribuito, poiché questo significava accettare logiche patriarcali e capitaliste. Lonzi proponeva una visione alternativa della “realizzazione”, centrata su una vita autentica, non vincolata alla produttività. Questo suo rifiuto di adattarsi alla società del lavoro, che ancora oggi risuona come una provocazione radicale, la colloca tra i pochi pensatori che hanno osato mettere in discussione il sistema economico alla radice.

È anche fondamentale ricordare il suo ruolo di costruttrice di comunità. Il gruppo Rivolta Femminile, nato dal suo pensiero, fu uno dei primi in Italia a proporre la pratica dell’autocoscienza, una tecnica di riflessione collettiva in cui le donne, condividendo le proprie esperienze, scoprivano che il personale era politico. L’autocoscienza, per Lonzi, era una via di fuga dalla solitudine che spesso accompagnava la donna nella società patriarcale: era un modo per creare una rete di solidarietà femminile, in cui si potevano sviluppare identità nuove e libere.

Carla Lonzi è, in ultima analisi, una figura che sfida a rileggere il femminismo come una forma di rivolta continua, un percorso che va ben oltre le rivendicazioni sociali e diventa una pratica di libertà quotidiana, un viaggio verso una vita vissuta fuori dagli schemi, con un impegno radicale per l’autenticità e la libertà individuale.

 

 

(17 novembre 2024)

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