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Caso De Rossi: attenzione a non farsi condizionare dal populismo calcistico delle tifoserie

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di Vittorio Lussana

Quanto accaduto all’associazione sportiva Roma nelle scorse settimane, non ci è piaciuto neanche un po’. Innanzitutto, l’esonero di Daniele De Rossi è stata una decisione azzardata: la squadra era alla ricerca del proprio assetto complessivo, una cosa che capita quasi sempre nelle prime fasi del campionato di calcio, quando ancora debbono delinearsi alcune gerarchie tra le varie squadre e all’interno di ogni squadra.

Una volta, c’era la prima fase di Coppa Italia a gironi, che serviva proprio a questo: per trovare un’identità di gruppo, dato che il calcio è uno sport collettivo, non individuale. In secondo luogo, solo 4 partite non bastano a trovare gli equilibri giusti in campo. Con un esonero dopo 4 giornate, si rischia di farsi un nemico in grado di tornare come allenatore di una squadra avversaria, cosa già capitata all’Inter con la vicenda Gasperini, che oggi viene considerato la punta di diamante del gioco d’attacco: una sorta di nuovo Zeman, che con l’Atalanta ha già fatto grandi cose e può ancora farne.

Detto questo, noi la pensiamo esattamente come Adriano Panatta: non si manda via così un “figlio di Roma”. Una frase che sottende anche un lungo periodo di gestioni – non solamente quest’ultima, sia chiaro – che stagione dopo stagione hanno smontato letteralmente la squadra, lasciando poi al tecnico il compito di riassemblare un nuovo gruppo, come se ciò fosse un compito di secondaria importanza.

Ovviamente, non stiamo qui giustificando le minacce alla signora Lina Souloukou, l’ad della Roma calcio che ha rassegnato, in questi giorni, le dimissioni dal proprio incarico dirigenziale: c’è sempre chi esagera. Ma certe decisioni improvvise non sono un buon segnale per la società, poiché spesso preludono a periodi di grande confusione, soldi o non soldi.

Infine, condividiamo il ‘Panatta pensiero’ anche nella sua  ricostruzione storica: il grande Dino Viola e la famiglia Sensi erano ben altra cosa. Essi sapevano gestire certe situazioni con saggezza e una visione complessiva di medio-lungo periodo. La squadra dei Falcao e dei Bruno Conti fu costruita in modo genuino. E la sapiente ‘mano’ di Liedholm seppe trasformare anche ‘portatori d’acqua’ come Nappi, Maggiora, Cherico e Marangon in calciatori assai utili alla squadra.

Anche il ciclo della famiglia Sensi si connotò per aver saputo gestire con la giusta fermezza un campione come Francesco Totti, che rischiava di perdersi sprecando il proprio talento come un Mario Balotelli qualsiasi. Ciò anche grazie a una persona serissima come Fabio Capello: un altro ‘sergente di ferro’ che riuscì a dare alla compagine giallorossa una disciplina a dir poco esemplare. Furono questi ingredienti, il vero segreto delle vittorie degli anni ‘80 del secolo scorso e dei primi anni duemila. Dopo di loro, il nulla.

Se l’esempio non viene dato ai più alti livelli dirigenziali, certi difetti si trasmettono anche alla squadra in maniera quasi automatica. Siccome non viviamo in un’epoca ricca di personaggi carismatici, sarebbe dunque il caso di darsi una calmata.

Magari evitando di gettarsi tutti quanti nel Tevere, solo perché lo chiedono i tifosi.

 

 

(24 settembre 2024)

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