di Vittorio Lussana
Le recenti polemiche relative all’uso del Var sono fondate: accanto alla valutazione puramente tecnica, dovrebbe affiancarsi il giudizio interpretativo dell’arbitro in campo. Altrimenti, non serve a niente un giudice di gara, se deleghiamo tutto alla macchina.
Nel rigore concesso, per esempio, alla Lazio contro la Roma in Coppa Italia, il criterio interpretativo era la volontarietà del fallo, non un contrasto di gioco in cui l’attaccante riesce ad arrivare sul pallone una frazione di secondo prima del difensore. Si tratta di un rigore che non c’era, in cui il fattore tecnologico ha condizionato il giudizio arbitrale: siamo al trionfo della pura immagine.
Ciò vale anche per il resto della questione, che ormai rischia di diventare gigantesca: non possiamo delegare tutto alla macchina, altrimenti questa finisce per sostituirsi all’uomo. La macchina deve servire la professionalità, non sostituirla o esautorarla: se si cede sul fronte della responsabilità, si rischia di perdere posti di lavoro a vagonate, innanzi a un mondo delle imprese che tende a non contrattare più le prestazioni.
Era meglio tenere in piedi l’Unione sovietica, a questo punto, se serviva da contrappeso allo strapotere del danaro in tutte le cose, persino nei rapporti umani. E’ quella la vera origine di tutti i nostri mali attuali, perché ci si è fidati di un modello delirante, che non appena può cerca di comprime il costo del lavoro. Non è più una questione del taglio di 3-4 punti di contingenza sull’indennità integrativa: non appena può farlo, il capitalismo tende a declinare verso il conservatorismo. Anche quello più bieco e senza scrupoli.
(16 gennaio 2024)
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