di Vittorio Lussana
Chi non risiede nella capitale d’Italia non può comprendere il fascino dell’estate romana. Si tratta di un elenco di iniziative di cui il Comune di Roma, generalmente, copre alcune spese dopo apposito bando di gara, che viene rinnovato ogni anno. Alcune di queste manifestazioni debbono andare a riscoprire una serie di richieste turistico-culturali, nei riguardi della quali alcune compagnie teatrali si specializzano: come nel caso della Plautina, per ciò che concerne i testi satirici dell’antica Roma; o la scuola di teatro popolare del Testaccio, che in genere si occupa della Roma futurista dei primi del ‘900, quella dei Trilussa e dei Petrolini; altri propongono concerti, danze e canti tipici della tradizione romanesca. Poi, c’è lo spazio per le iniziative giovanili, all’interno delle quali capitano le cose più divertenti, alcune divenute addirittura leggendarie.
Bene, per far comprendere come e quanto ci si diverta nel corso dell’estate romana, possiamo raccontarvi un episodio divenuto memorabile, narrato con dovizia di particolari da più un lustro di anni. Innanzitutto, bisogna sapere che a Roma vive un autentico genio della critica teatrale e cinematografica, di nome: Alessandro Paesano. Se non si trattasse di un ragazzo che merita, non lo citeremmo. Anche nei confronti del sottoscritto, ogni suo consiglio o indicazione del passato ha sempre fatto pieno centro, sia nelle scelte cinematografiche, sia per quelle teatrali. Si tratta di un vero esperto, che avrebbe meritato l’interesse di alcuni ambienti importanti della capitale. I quali, in realtà, dormono della quarta già da un bel pezzo.
In ogni caso, l’episodio che veniamo a raccontarvi è relativo a un copione che apparteneva al genere del teatro dell’assurdo. Il testo s’intitolava Giardino ed era un’opera grottesca della geniale Sarah Kane, una bravissima drammaturga morta suicida nel 1999, poiché sofferente di profonde crisi depressive. Ebbene, una compagnia teatrale romana un po’ squinternata decise, alcune estati fa, di portarlo in scena all’interno di una rassegna di teatro giovanile. Essendo un contest a eliminazione, lo spettacolo poteva andare in scena anche più volte, durante la settimana di programmazione, con votazioni successive. Ebbene, nonostante avessero avuto pochissimo tempo per provarlo, questi ragazzi decisero di portarlo in scena ugualmente, palesando sin dalla prima serata una serie di errori, amnesie, dimenticanze e un’assenza di regia da far raddrizzare i peli pubici. Nella prima serata, noi Periodici mandammo un nostro esperto, con la raccomandazione di andarci piano con la recensione. Cosa che lui fece, impastando un pezzullo carico di riferimenti altri, al fine di evitare di descrivere la débacle della compagnia, che per lo meno aveva ancora qualche giorno di tempo per aggiustare il tiro.
Niente da fare: nella seconda rappresentazione, sia Alessandro Di Somma, direttore artistico del Teatro Studio Uno di Torpignattara, sia il sottoscritto, finimmo col rotolarci per terra dalle risate, poiché i ragazzi di Giardino, alla fine della recita, nemmeno uscivano per gli applausi finali: la piantavano lì, rintanandosi dietro le quinte, per paura di ricevere fischi collettivi o insulti agghiaccianti. Il bello dello spettacolo, tuttavia, era il fatto che questi giovani attori, in scena, stavano facendo talmente tanto casino da generare quasi un altro spettacolo: l’assurdo nel teatro dell’assurdo. Un copione già grottesco di per sé, che loro stavano portando da tutt’altre parti, senza alcun genere di collegamento che comunicasse cosa diamine stessero comunicando al pubblico e perché. Un po’ come quando, a tempi del ginnasio, non riuscendo a venire a capo di una versione di latino, qualcuno inventava la traduzione, dando vita a un risultato totalmente inedito, che nessuno si era mai sognato di scrivere o di pensare: né Tacito, né tantomeno Seneca o altri.
Sia come sia, si avvicinava la serata della terza replica, quella decisiva. In qualche fugace incontro, io avevo già fatto due parole con Paesano, il quale mi aveva chiesto: “Ma tu lo hai visto Giardino, il testo della Kane”? Gli risposi di no. Ed era vero, perché avevo stabilito di vederlo nella seconda serata, quella in cui mi ritrovai in compagnia di Alessandro Di Somma. Inoltre, in quegli stessi giorni spesso telefonava Ennio Trinelli – amico sia di Paesano, sia del sottoscritto – il quale ogni tanto chiedeva: “Ma Alessandro è passato”? E io rispondevo: “Sì”, oppure “No”, a seconda dei casi. Una prima volta, infatti, Paesano era passato, ma solo per dare uno sguardo d’insieme alla rassegna e capire come stesse andando. Non appena io e Di Somma vedemmo confermato il disastro di Giardino cominciammo a temere il peggio. Perché Paesano lo aveva dichiarato espressamente: “Vengo alla terza serata: se ci sarete anche voi, scambieremo qualche idea…”.
Si trattava di una frase che cominciò a riecheggiare per tutto il festival come l’ultimatum dell’Austria-Ungheria alla Serbia, nell’estate del 1914. “A quello”, sottolineavamo ai ragazzi della compagnia, “se gli toccate Giardino scatena la terza guerra mondiale: vi tira dietro penna, inchiostro e calamaio…”. Il terrore serpeggiava tra gli stand della kermesse. E già a inizio serata, quella della terza replica, Paesano era giunto alla manifestazione totalmente ignaro di avere addosso gli occhi di tutti, con i suoi occhialetti tondi alla Antonio Gramsci e il sole che tramontava alle sue spalle, come nei duelli western di Sergio Leone.
Ebbene, all’inizio del terzo spettacolo, ognuno cercò scusanti per non assistere a una tragedia e riuscire a tornare a casa prima del solito. Alla fine, il sottoscritto decise di rimanere, assistendo in presa diretta allo sguardo esterrefatto di Alessandro Paesano mentre gli stupravano letteralmente sotto il naso il suo Amore di Phedra, ispirato a un antico racconto di Seneca, circa l’utilizzo del sesso come strumento di potere. Si tenga presente che, dopo la rappresentazione di quella serata, una delle attrici decise di non recitare mai più e di dedicarsi all’arte fotografica, tanto per dirne una.
Paesano tornò a casa, quella sera, con gli occhi fissi, cristallizzati, come se avesse assistito, per ben 50 minuti, a uno spettacolo organizzato nella gabbia dei gorilla al bioparco di Roma. Accese il computer e iniziò a scrivere, vergando una recensione che è passata alla storia come una ‘stroncatura cannibalesca’ (per poterla leggere, cliccare QUI). Il giorno successivo, tutti avevano letto il drammatico resoconto, dalle Alpi alle Piramidi. E più di qualcuno commentò: “Ha esagerato: i ragazzi non hanno avuto il tempo di riadattare quel testo: li ha proprio fatti a pezzi, come Dexter Morgan o Hannibal Lecter…”. Ma la sola e unica risposta possibile innanzi a tali richieste di pietistica commiserazione per tutta l’estate romana fu la seguente: “Siete dei cani, mortacci vostra”!!!
Eccovi spiegato, finalmente, cosa significa “essere di sinistra” nel Terzo Millennio.
(13 giugno 2022)
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